Il mondo, questo è sicuro, è fatto di ossa e di odori. È fatto di ossa quando, per qualche motivo misterioso che non so definire, io sono più forte del mondo; è fatto di odori allorché, per altri motivi non meno misteriosi, il mondo è più forte di me. Nel primo caso, si verifica una riduzione drastica: il mondo non è più che un osso; nel secondo, un'esplosione stupefacente: il mondo è un milione, un miliardo di odori.
La riduzione del mondo all'osso si accompagna a sentimenti e manifestazioni piuttosto sgradevoli: arriccio il pelo, digrigno i denti, abbaio, schiumo dalla bocca, mi avvento, mordo; l'esplosione degli odori è anch'essa accompagnata da un particolare comportamento: naso a terra, seguo, uno dopo l'altro, gli infiniti odori che compongono la realtà; oppure seduto sulle zampe posteriori, la testa alzata, nelle narici ben spalancate, decifro con voluttà gli innumerevoli messaggi olfattivi che mi giungono da ogni parte.
La varietà degli odori è infinita. Ci sono odori a quattro zampe, cioè gatti, cani, cavalli; a due zampe, cioè uomini; che strisciano, cioè serpenti; che volano, uccelli; che nuotano, cioè pesci; che brulicano, cioè api, formiche e in genere insetti. Ci sono odori verdi, per esempio l'erba; azzurri, il cielo; gialli, il sole; rossi, il sangue. Gli odori che corrono si chiamano aeroplani, automobili, biciclette, ramarri, lepri; gli odori che fanno rumore, radio, televisione, grammofoni, campane, calabroni; gli odori che stanno zitti, in genere i mobili nella casa, quando non c'è nessuno e le stanze sono al buio.
Naturalmente ci sono odori buoni e odori cattivi. Senza affaticarmi a stendere un catalogo impossibile, mi limiterò a dire che gli odori buoni sono quelli che rassomigliano di più all'odore della putrefazione e i cattivi quelli che rassomigliano di meno. Non si creda ad una scala di valori arbitraria, però. In realtà la putrefazione è sinonimo di personalità; e questo perché la durata è indispensabile allo sviluppo della personalità, cioè della putrefazione. Insomma, non si raggiunge un certo grado di putrefazione, cioè non si acquista una personalità riconoscibile così, di punto in bianco: ci vuole tempo. E infatti i bambini, gli oggetti nuovi non hanno odore cioè personalità; mentre un vegliardo oppure un tappeto che si sia impregnato della polvere di un secolo emanano odori numerosi e oltremodo sfumati, cioè hanno personalità complicate e profonde.
Un altro odore che a noialtri cani fa un effetto irresistibile, un po' come l'effetto della droga al drogato, è l'odore del padrone. Si tratta di un odore indefinibile, per così dire metafisico. Esso è all'origine della nostra famosa fedeltà: un cane fa qualsiasi bassezza pur di seguire perpetuamente la traccia di quest'odore. Tra parentesi, vorrei farvi notare che i padroni hanno inevitabilmente odore di padrone. È strano, è incomprensibile, ma è così.
Circa, poi, la riduzione del mondo ad un osso, cioè alla trasmutazione degli infiniti odori infinitamente sfumati in un solo brutale e semplice osso, esso avviene tutte le volte che il cane ha l'impressione che l'odore stia per essergli sottratto. L'annusamento degli odori da parte dei cani rassomiglia molto a quella che è la contemplazione per gli uomini: il cane si perde nell'odore, dimentica se stesso, si annulla. Ma fate che qualcuno voglia portargli via l'odore e allora il cane torna cane e il mondo diventa un osso.
Per esempio, una calza della mia padroncina è sul pavimento, mi avvicino, l'annuso, mi dissolvo in un milione di odori, uno più delizioso dell'altro; ma ecco, tutto ad un tratto, la mano della cameriera mi passa davanti al naso, fa per raccogliere la calza. Allora non c'è più alcun odore, non c'è più niente, il mondo è diventato un osso, e io sono il cane a cui l'osso appartiene e che vuole difenderlo a tutti i costi, pronto ad avventarsi, a mordere, a straziare.
Forse, tutto ciò vi sembrerà un po' troppo filosofico. Ma quando saprete il luogo nel quale mi trovo attualmente, capirete il motivo di questa filosofia. È la filosofia della disperazione. In breve: da due giorni sto rinchiuso in una gabbia del canile municipale, sotto osservazione, per vedere se, per caso, io sono rabbioso. La rabbia, per chi non lo sapesse, non è che lo stato d'animo, appunto, rabbioso, nel quale cade il cane quando, per qualche suo motivo privato, si convince definitivamente e fermamente che non ci sono, non ci sono mai stati odori, e che il mondo è un osso, soltanto un enorme, massiccio, sordo, informe, spaventoso osso. Perché, poi, io sia qui, questa è una storia che voglio raccontarvi.
Bisogna risalire al mio rapporto con la padroncina. Ero il suo cane; lei era la mia padrona. Con questo voglio dire che oltre ad essere composta di infiniti odori tutti deliziosi, la padroncina aveva spiccatissimo quell'odore tra tutti potente che è l'odore di padrone, Naturalmente anche il padre, la madre, la sorella della padroncina avevano addosso l'odore di padrone; ma la padroncina, per così dire, era più padrona degli altri. Non starò a descrivere nei particolari il mio rapporto con questa graziosissima ragazza; dovrei enumerare uno per uno gli infiniti olezzi che si sprigionavano, violenti e inesauribili, dal suo corpo, cominciando dalle punte dei piedi, su su, fino ai capelli. Vorrei soltanto notare un fenomeno singolare; la percezione degli odori personali di lei, per così dire mi spalancava io mondo, cioè mi rivelava, come per simpatia, la sterminata varietà di odori che, comunemente, viene designata con il nome di realtà. Seguivo, per esempio, la padroncina in una passeggiata, al parco, passeggiata, sia detto tra parentesi, che lei faceva per me, affinché mi sgranchissi le gambe e sfogassi i bisogni naturali; ed allora, o miracolo, come se il confine tra gli odori di lei e quelli del mondo fosse stato tutto ad un tratto, cancellato, io sentivo che le mie narici, per così dire, trapassavano dalla percezione del Particolare a quella, ineffabile, del Tutto.
Sì, io mi immedesimavo con gli odori della padroncina a tal punto che non esistevo più; e così mi era facilissimo passare da quell'odore iniziale all'odore, poniamo, del sole che tutto scalda e illumina. Ma mi accorgo che non so spiegarmi troppo bene. Mi basti dunque dire che l'amore di cui tanto parlano gli uomini non è che una grossolana caricatura del sentimento che può provare un cane andando dietro alla padrona, in un parco, in una bella giornata di sole.
Ed ecco, improvvisamente, la padroncina si fidanza con un giovanotto a nome Piero, di professione avvocato, peraltro pulitissimo, cioè quasi privo di personalità. Si fidanza dimenticando il suo cane, dimenticando cioè di essere, per il cane, il solo mezzo di comunicazione con il mondo; e il fidanzato, odiosamente pulito, come ho già detto, si appiccica a lei. Dal giorno del fidanzamento la padroncina non è mai più sola, tutta per me: fidanzato alla passeggiata, fidanzato in macchina, fidanzato a tavola, fidanzato nei negozi, fidanzato in casa del fidanzato (ma qui mi chiudono in terrazza e mi lasciano lì delle ore), fidanzato in campagna, fidanzato al mare, fidanzato dappertutto. Qualcuno obbietterà: perché non affezionarsi al fidanzato? Intanto non aveva odori o quasi; e poi gli mancava l'odore più importante, voglio dire l'odore di padrone.
Allora, prima quasi insensibilmente, poi con crescente rapidità, il mondo per me ha perduto uno dopo l'altro tutti i suoi odori; si è trasformato, alla fine, in un solo insopportabile osso. Gli odori erano stati milioni, tutti evanescenti, squisitamente profumati, ricchi di sottilissime gradazioni; l'osso era uno solo, ottuso, informe, enorme, feroce. Per fare un paragone, gli odori erano stati una musica dagli infiniti accordi; ma l'osso non era che un unico, cupo, truculento tonfo di tamburo.
Parallelamente, ero passato dall'estasi propria dell'annusamento, alla rabbia che ispira l'osso. Sì, il mondo intero era un osso; si voleva strapparmelo; io dovevo difenderlo a tutti i costi. Strano a dirsi, questa rabbia era calma, priva di manifestazioni esterne. Ero rabbioso, ma nessuno se ne accorgeva.
Viene il giorno del matrimonio, la casa è invasa dagli invitati, tutti ossa, nient'altro che ossa, nessun odore. Mi aggiro tra tutte quelle gambe senza neppure cercare di annusarle, tanto non potrei sentire nulla, così gonfio di furore come sono. Qualcuno si china a farmi una carezza, qualcun altro mi allunga un calcio: tutto eguale. In realtà mi sto caricando di rabbia, come una macchina a vapore sotto pressione; non vedo, non sento, non percepisco niente; sono soltanto agitato da un furore crescente perché il mondo intero, ormai, per me è un osso e quest'osso ho paura di perderlo, e così provo come uno stimolo agli angoli della bocca e nella cerniera dei denti e più volte mi trattengo a stento dall'avventarmi e mordere.
Avventarmi e mordere chi? Non lo so, qualcuno o qualche cosa che in quel momento mi vorrebbe rubare il mondo cioè l'enorme, incommensurabile osso che per me è diventato il mondo. Ma, al tempo stesso, sento che il mondo fino a ieri era per me la padroncina, sì, proprio lei, la quale coi suoi infiniti odori mi aveva avviato alla percezione dell'universo intero; e oscuramente avverto che il ladro dell'osso è lo sposo. Tutto a un tratto, questo sospetto si fa certezza; vedo rosso, traboccante di odio mi metto alla ricerca del mio nemico.
Forse non sarà male che, a questo punto, che mi descriva: sono un
boxer tigrato, fulvo con strisce scure, la parte posteriore del corpo snella ed elegante, l'anteriore massiccia. Ho un muso nero, da drago cinese; rughe profonde serpeggianti sulla testa e intorno alla bocca mi danno un'espressione quasi triste; ma al tempo stesso, il collo di toro, la conformazione della bocca coi denti di sotto che ricoprono i denti di sopra, l'occhio fisso e rosso compongono una fisionomia terrificante. Sono un cane da lotta; se mordo non abbandono la presa, mi accanisco, tiro, lacero, squarcio. Eccomi dunque alla ricerca del fidanzato della mia padrona. Non ho molto da cercare. In un salottino appartato, li trovo tutti e due, lei in piedi, davanti ad uno specchio; e lui dietro di lei, indaffarato ad aggiustarle la chiusura lampo del vestito, sul dorso.
Non ho abbaiato, non ho uggiolato, non ho fatto alcun rumore. Improvvisamente, con impeto irresistibile, gli sono saltato addosso. Ho mirato d'istinto al collo: lui, non meno istintivamente, ha portato il braccio al viso per difendersi; ho morso nel braccio, profondamente, e per qualche secondo sono rimasto appeso, i denti confitti nel sangue e nella carne. Poi alle urla di lei è accorsa gente, mi hanno afferrato, strappato, portato via...
Ed ora eccomi qui, in una gabbia del canile municipale, sotto osservazione. So quello che mi aspetta: o il mondo per me si scioglie, si moltiplica, si apre, diventa di nuovo il mondo degli odori e allora tornerò a casa; oppure continua ad essere un osso, nient'altro che un osso che io, con rabbia, temo di perdere, e allora, dopo qualche giorno sarò passato alla camera a gas.
L'alternativa non mi sfugge; ma egualmente non riesco, per quanti sforzi faccia, a percepire alcun odore. Sì, il mondo è un osso; e io ci ho confitto i miei denti e morirò piuttosto che lasciarlo.