Alberto Moravia
ritratto di Alberto Moravia di Carlo Levi
foto da corbis.com
Insignificante
Una cosa è una cosa
Alberto Moravia

La provincia1, si sa, è un luogo di noia; e niente vi succede, neppure in sogno2. Forse per questo tutto vi è osservato, esaminato, scrutato a fondo; e tutto vi acquista un significato. Una donna che cammini sola per una strada3 erbosa in fondo alla quale la città muore nella campagna; una macchina con una targa insolita che passi per il Corso; una finestra socchiusa ad un pian terreno; due voci che parlano in un giardino; tutto sembra significante e dunque provvisto di un significato.
Professore di storia al liceo di G., ho anch'io conosciuto l'acre e vana soddisfazione di attribuire sempre e in ogni caso un senso agli eventi4; di trasformare gli oggetti in simboli di un muto linguaggio. Del resto non si trattava soltanto delle cose che ingiustamente sono di solito chiamate prive d'importanza; ma anche di quelle che, per la loro stessa natura, importanza ne hanno comunque. Che cos'era diventata per esempio per me mia moglie? Un vero e proprio sistema di segni, adorabile sistema, che io non mi stancavo mai neppure un sol momento di interpretare. La guardavo, accanitamente, appassionatamente mentre si muoveva sotto i miei occhi per la casa oppure mi stava davanti, seduta a tavola; e sentivo con assoluta certezza che tutto in lei, fino alla più sfuggente espressione, aveva un suo significato preciso anche se difficilmente definibile. Imbarazzata da questa mia attenzione, lei esclamava, talvolta sorridendo: "Ma si può sapere perché mi guardi tanto?" Al che io rsipondevo con gravità: "Cara mia, non ti guardo perché ti amo; o per lo meno non è l'amore che mi fa guardare bensì il timore che mi sfuggano gli innumerevoli significati della tua persona. Ora se tu ti trovassi con qualcuno che ti parla, non staresti forse attenta alle sue parole, se non altro per educazione? Ebbene la tua persona mi parla ininterrottamente con i gesti, i colori, le forme, le espressioni; e io, se non altro, appunto, per educazione, debbo stare attento a non perdere una sola parola di un discorso tanto amabile."
Poi tutto è cambiato con il mio trasferimento a Roma. Forse non c'è stato alcun nesso tra la nostra andata a Roma e il cambiamento intervenuto in quel tempo nei nostri rapporti; ma egualmente da allora si è radicata in me la convinzione che in provincia tutto aveva un significato e a Roma, no. Ricordo benissimo quando mi sono accorto che non ero più capace di attribuire un significato alle cose o meglio che le cose non significavano più niente; perché la scoperta non è avvenuta lentamente e insensibilmente, ma in maniera improvvisa e violenta. Una domenica di giugno guidavo la mia utilitaria e avevo al fianco mia moglie. Andavamo a Frascati per una passeggiata; e, pur correndo sull'Appia, portavamo avanti una discussione agra: "Tu non mi vuoi più bene"
"Non è che non ti voglio più bene; è che sono stanca delle tue manie. Santo cielo, non mi lasci mai in pace con le tue interpretazioni cervellotiche di tutto ciò che io faccio. La gelosia ti fa scoprire dei significati dappertutto, anche nelle cose che ovviamente non ne hanno. Un tale mi saluta per la strada: è un mio amante. Ho uno sbaffo di rossetto sulla bocca: ho dato un bacio. Ho la scarpa sporca di fango: sono stata in campagna con un uomo. Ho le dita macchiate d'inchiostro: ho scritto una lettera d'amore a qualcuno. E così via; e così via. Ora devi convincerti una buona volta che le cose per lo più non significano niente, assolutamente niente. Un uomo mi guarda? Ebbene, un uomo mi guarda, ecco tutto. Per modo di dire, potresti anche sorprendermi abbracciata a qualcuno; e non per questo avresti il diritto di attribuire un significato a quello che vedi. E soprattutto devi convincerti, ma davvero, che io sono una donna insignificante, la quale fa delle cose insignificanti e vive una vita insignificante."
In quel preciso momento, ecco, proprio nel mezzo della strada, un vigile. Aveva l'elmo, la giubba, il cinturone, i pantaloni, i gambali e i guanti, tutti di cuoio. Teneva un braccio alzato, stringeva nella mano un'asta terminata da un disco. Il disco era colorato, il colore era rosso. Sulla destra, all'imboccatura di una traversa, c'era una macchina bassa, da corsa, decappotabile, con due persone dentro, un uomo alla guida e una donna accanto, La macchina era verde. Alcune altre macchine si erano fermate accanto alla nostra e precisamente due utilitarie chiare e un camioncino. Più lontano, sulla sinistra, c'era un cartellone pubblicitario nel quale si vedeva un animale preistorico, un dinosauro, levare la testa in cima al lungo collo, ad annusare una saponetta. Più lontano ancora, la strada svoltava intorno una collina. Ho visto tutte queste cose chiaramente una per una, ben distinte l'una dall'altra, autonome e del tutto prive di senso5.
Quindi invece di premere col piede il pedale del freno, ho premuto quello dell'acceleratore. La macchina ha fatto un balzo in avanti; il vigile con un salto di lato si è sottratto all'investimento; l'automobile verde, ormai lanciata, ha colpito la parte posteriore della nostra macchina; ho udito l'urlo di mia moglie; ho visto il cielo girare sulla mia testa; gli alberi che stavano sulla destra si sono affacciati ad un tratto sulla sinistra; infine sono svenuto.
Così è cominciato. Nello scontro, io non ho riportato alcuna ferita mentre mia moglie, lei, è rimasta sfregiata6 da una cicatrice che le attraversa il viso dall'orecchio destro all'angolo della bocca; tuttavia sono io che ho avuto la peggio.
Da quel giorno infatti, senza alcun motivo, forse soltanto perché avevo lasciato la provincia ed ero venuto a Roma, il mondo per me ha perduto qualsiasi significato, proprio come il segnale del vigile che era rosso e mi diceva con quel rosso che dovevo fermarmi e io invece ho continuato la corsa perché quel rosso per me era rosso e basta. Naturalmente non c'erano eccezioni a questa regola; e se un tempo a G. tutto per me era significante, a cominciare da mia moglie fino al più piccolo oggetto; adesso tutto era insignificante, dal più piccolo oggetto fino a mia moglie.
Continuavo, beninteso, a guardarla con immutata insistenza ma non già per decifrare gli innumerevoli messaggi che mi trasmetteva la sua persona, come avevo fatto a G.; bensì per confermarmi che quei messaggi non c'erano più. Per fare un paragone, mi faceva lo stesso effetto delle lampadine fulminate che quando si gira l'interruttore non si accendono e allora si va a guardare e si vede che i fili sono staccati e il vetro è tutto affumato. Non irradiava più, insomma, come se nello scontro fosse andata distrutta anche la sua capacità di emanare messaggi. Intanto si era trasformata, da non riconoscerla più. Si era tinti i capelli di un rosso sfacciato, una fiammata sulla fronte un po' calva e troppo bianca; gli occhi bistrati sbattevano due piccole palpebre verdi in una faccia pallida come di morta; la lunga cacatrice affondata nella carne faceva apparire molle e cadente la guancia. In provincia si era vestita normalmente, con le camicette e le gonne; a Roma da qualche tempo si travestiva da domatrice: giacca a vento di cuoio, pantaloni verdi attillati infilati dentro stivali neri alla scudiera. Si pensava ad una mascherata, ma irreparabile. Si sentiva che anche se l'avesse voluto, non avrebbe potuto più potuto tornare ad essere com'era stata, una donna qualsiasi alla quale però io attribuivo tanti sensi profondi. Adesso così camuffata non era più una donna qualsiasi; il trucco e i panni, per così dire, urlavano i loro significati; ma a me pareva insignificante.7
Lei se ne rendeva conto; e ogni tanto mi diceva: "Non sei più quello di una volta, non mi ami più, Mi guardi ma non mi osservi. Per esempio, adesso, dimmi che cosa vedi."
"Vedo una donna seduta a tavola, che poi saresti tu. Ha una maglia nera accollata, i capelli rossi, la faccia velata di cipria livida. Dietro di lei vedo una credenza in stile rustico. A destra vedo la riproduzione di un quadro di Van Gogh, a sinistra la riproduzione di un quadro di Matisse. La carta da parati è verde oliva. lo zoccolo e le inquadrature delle porte sono verniciati di bianco.."
"Sì, vedi tante cose, ma non vedi la più importante."
"E qual è questa cosa importante che non vedo?"
"Che io soffro e sono tanto infelice."
"No, questo non lo vedo."
"E perché non lo vedi?"
"Non lo so. Ma non lo vedo."
Uno di quei giorni, rientrando in casa all'ora di colazione, ho visto la gamba stivalata di mia moglie varcare la soglia del bagno e ho udito la sua voce pronunziare distintamente: "Addio, Giacomo." L'ho seguita, ho fatto appena in tempo per scorgere la fiammata dei suoi capelli rossi divampare un momento fuori dalla finestra, sotto il davanzale, e poi scomparire risucchiata.
Allora sono andato alla finestra, mi sono affacciato e ho guardato, Abitavamo al terzo piano di una palazzina circondata da un giardino. Laggiù, sotto di me, mia moglie stava posata su un'aiuola di un verde smeraldino, con le gambe e le braccia piegate in una postura strana e innaturale, simile ad un bizzarro gioiello sul velluto di una vetrina. Ho misurato con gli occhi l'altezza; potevano essere circa dieci metri o poco più. Un viale di ghiaia bianca girava intorno l'aiuola, al di là del viale c'era un'altra aiuola anch'essa di erba verde, sparsa di tulipani, con alcuni grandi alberi: una magnolia, un cipresso, un leccio. Sotto di me, a destra, c'era una persiana aperta al secondo piano; a sinistra un balcone e sul balcone c'era una seggiola di ferro verniciata di bianco, con un cuscino arancione e sul cuscino stava accoccolato un gatto persiano nero. Ho notato pure che mia moglie non si muoveva benchè la posizione delle gambe e delle braccia fosse, come ho detto, del tutto innaturale. Poi ho visto una piccola macchina color sabbia sbucare da sinistra sul viale, fermarsi davanti all'aiuola sulla quale stava mia moglie, lo sportello aprirsi, un uomo scenderne in fretta. Era vestito di un impermeabile molto chiaro, quasi bianco; si è slanciato verso mia moglie. A questo punto mi sono ritirato dalla finestra, sono uscito dal bagno e poi dall'appartamento, ho chiamato l'ascensore, sono disceso a pianterreno.
Qualche giorno dopo, alla clinica, appena mia moglie ha cominciato a riaversi dalla caduta (aveva riportato due o tre fatture, ma nessuna grave), subito mi ha aggredito. Stava seduta sul letto, il braccio ingessato proteso in avanti, nel vuoto; e mi ha detto: "Così per te è come se non fosse successo niente. Ho tentato di uccidermi, ma per te questa è una cosa priva di significato e non cerchi di capire, non interpreti, non chiedi..."
"Che cosa dovrei chiedere?"
"Perché ho tanto desiderato di morire da avere il coraggio di gettarmi dalla finestra."
Non ho detto nulla, per un poco. Quindi, chissà perché, ho domandato: "Che ne diresti se lasciassimo Roma e tornassimo a vivere in provincia?" A prima vista non c'era alcun nesso tra queste parole e il suo suicidio; quindi ho capito: in provincia le cose per me avevano un significato: o almeno lo avevano avuto. Ma lei ha subito protestato: "No, mai più, non si torna indietro; preferirei, guarda, gettarmi di nuovo dalla finestra." Poi ha fatto un gesto strano: ha afferrato il lenzuolo e se l'è tirato sulla testa. Così imbacuccata, col braccio ingessato proteso per aria, è rimasta ferma e zitta, non si è più mossa. Ho pensato che era un vero peccato che non fossimo a G. ma a Roma: chissà quanti significati avrei attribuito a G. a quel gesto così insolito, a quella testa avviluppata nel lenzuolo. Sono stato per un bel po' a guardarla; poi mi sono alzato, sono uscito dalla stanza, sono disceso a pianterreno e sono andato a bere un caffè nel bar, dirimpetto alla clinica.





  1. La provincia: fin dall'inizio Moravia sottolinea come il comportamento sociale "in provincia" sia diverso da quello che si tiene "in città";
  2. neppure in sogno: la vita in città è come inseguire un sogno o un desiderio? per questo ci si veste in modo diverso?
  3. vedi ancora il racconto di Truffaut: "cammino per strada e vedo una donna..." (in progress)
  4. come Nanni Moretti, che in un'intervista successiva all'uscita di La stanza del figlio, cita la sua passione per l'attribuzione di significati speciali e immaginari agli eventi più "insignificanti".
  5. Il senso (significato) della realtà esiste e resiste fino a quando la si considera nel suo intero, come tessuto di relazioni:
    Claude Levì-Strauss, in L'uomo nudo, pag.241, a proposito dell'analisi strutturale dei miti: I miti non sono paragonabili a delle cose di cui si possa riconoscere l'identità quando si incontrano isolate o combinate insieme. E non esiste da nessuna parte un assortimento di pezzi che, variamente scelti e disposti come in un mosaico, provochino la creazione di nuovi miti nati sempre all'insegna dell'arbitrio. Noi postuliamo che qualsiasi mito, per il solo fatto che esiste, è sempre portatore di un discorso coerente. Gli elementi che introduce non hanno un valore autonomo ma acquistano la loro funzione significante all'interno delle combinazioni in cui sono chiamati a figurare e non la conservano che in relazione a quelle stesse combinazioni p.251: Ogniqualvolta si riesca a ridurre una struttura, non è che si perda una parte del suo significato, come troppo spesso afferma una critica ottusa, ma ci si procura uno strumento concettuale che, operando sulla materia prima del mito, permette di trarne un significato più profondo di quanto si era creduto possibile prima. Ma ogni semplificazione presuppone il recupero, al fine di inserirle nel quadro di una spiegazione generale, di particolari del mito che si era pensato di poter impunemente trascurare, col pretesto di una loro insignificanza.
  6. sfregiata: il successivo comportamento della moglie si potrebbe anche vedere come una compensazione di questa imperfezione acquisita nell'incidente, ma forse simbolo dell'imperfezione che si acquisisce attraverso il distacco dalla natura (che Moravia qui identifica con la provincia)
  7. insignificante: la "trasformazione" della moglie è particolarmente densa di "significati": essi si possono riassumere in una tabella che pone in opposizione delle coppie di termini:

    provinciacittà
    naturacultura
    vita morte ("faccia pallida come di morta",
    "ho tanto desiderato di morire")
    significanteinsignificante
    amoreindifferenza ("non sei più quello di una volta,
    non mi ami più")
    abbigliamento
    normale
    trucco, "travestimento"
    felicità infelicità ("soffro e sono tanto infelice")