Una bomba è esplosa nella mia testa, un po' come potrebbe esplodere in un negozio di porcellane, cioè in un luogo chiuso e pieno di oggetti fragili, e da allora vado in giro con la testa piena di frantumi che si muovono di qua e di là componendosi e scomponendosi in figure assurde, come i vetrini di un caleidoscopio.
Naturalmente, niente di tutto questo appare di fuori; sono sempre lo stesso; di me non si potrebbe davvero dire: "Ahi, quanto mutato da quell'Ettore che fu", benché poi ci sarebbe ogni ragione di dirlo.
L'esplosione ha prodotto questo preciso effetto: che sono del tutto incapace di agire se non trovo qualche legge o regola o norma che mi dica in che modo debbo agire. Faccio un esempio: mia figlia, una ragazzaccia dedita al ballo e alle canzoni degli urlatori, un pomeriggio ha avuto uno svenimento e quindi ha dovuto dire la verità: aspettava un bambino, e per giunta il padre di questo bambino era un uomo già sposato e padre di due figli.
Queste notizie me le ha date concitatamente mia moglie presentandosi una mattina all'istituto finanziario di cui sono presidente.
Ora, mentre lei mi parlava, seduta di fronte a me, al di là della grande tavola presidenziale, io mi sono accorto che la cosa, come si dice, non mi toccava; e che la mia sola preoccupazione in quel momento era di trovare una legge o regola o norma che mi dicesse: "Se una figlia ha un bambino da un uomo che non è suo marito, il padre dovrà prenderla per il braccio e buttarla fuori di casa". Ma non trovavo niente. Evidentemente era una questione di sentimento, ossia ogni padre si regolava in un caso simile secondo quello che sentiva, ma io non provavo alcun sentimento. Ero così immerso in questa riflessione, che non mi sono accorto di borbottare: "Dovrebbe esistere una legge."
Mia moglie, naturalmente, ha colto la palla al balzo: "Eh, lo so che dovrebbe esistere una legge che punisse certi mascalzoni. Dovrebbe esistere, ma non c'è, purtroppo."
Per fortuna in quel momento è entrato il dottor Broggi, un simpatico giovane funzionario, il quale dopo aver salutato mia moglie si è chinato al mio orecchio e mi ha chiesto se era lecito fare una certa operazione. Ho dato un balzo e ho detto forte: "No, ci sono precise norme che lo vietano. Mi meraviglio che lei, Broggi, non se ne renda conto", e quindi rivolto a mia moglie: "Mia cara, lo vedi, debbo discutere una faccenda importante. Va a casa, sta tranquilla, parleremo, discuteremo di tutto."
Faccio un salto nel tempo, eccomi in un negozio di abbigliamento maschile. Debbo scegliere delle camicie. La mia testa, al solito, non funziona, assolutamente. Palpo le stoffe, osservo il disegno, il taglio, e non mi so decidere perché sto invano cercando una norma, una regola, una legge che mi dica quale camicia debbo scegliere. Mormoro alla fine: "Chissà come si debbono portare le camicie quest'anno", mettendo una certa enfasi sul "debbono", quasi con la speranza che il commesso mi dica che in qualche posto c'è una legge che impone di portare, mettiamo, la camicia a righine azzurre su fondo bianco.
Allora, miracolo, il commesso, un giovane simpaticissimo, dall'aspetto molto civile, mi dice con calore: "Le camice quest'anno si portano con la riga grossa."
"Si portano o si debbono portare?"
"Un uomo elegante deve portarle in questo modo."
"Ma perché 'deve'? Non c'è mica una legge che obblighi a portare le camice con le righe grosse."
"Certo che c'è."
"E qual è?"
"La legge del buon gusto", risponde lui con un sorriso grazioso. E così ho comprato una dozzina di camicie secondo la legge del buon gusto, che è dopo tutto, a quanto pare, una vera e propria legge. Simpatico giovane, però, quel commesso.
Insomma, le cose mi vanno così, che erro per la vita come per una landa deserta sempre cercando con gli occhi dei cartelli con delle scritte o dei segni che stiano a significare un obbligo o una proibizione. Se non li trovo, resto immobile, del tutto incapace di agire in un senso o in un altro, anche nelle più modeste occasioni. Per fortuna, però, le regole, le leggi, le norme, i divieti, gli obblighi, appena uno si decida a occuparsi di questa materia che di solita passa inosservata, sono numerosi, molto più numerosi di quanto non si immagini, e coprono praticamente la vita intera in modo da permettere a una persona come me e ai tanti altri che si trovano senza dubbio nelle mie condizioni, di cavarsela abbastanza bene,
D'altra parte, però, le leggi, norme e regole sono tante e tante che spesso le dimentico, anche perché con gli anni la memoria mi si è indebolita; e allora sono guai. Per esempio, un giorno mentre guidavo la mia automobile sulla via Cristoforo Colombo, ecco, un brutto cane randagio, tutto arruffato e sporco, mi ha attraversato improvvisamente la strada. Subito mi sono chiesto : "Ma insomma quale legge impedisce di mettere per sbaglio sotto le ruote questo povero cane?" La risposta è stata: "Nessuna". E già stavo per accelerare e investire il cane, quando, per fortuna, un colpo di fischietto mi ha risuonato alle spalle facendomi frenare di colpo. Mi sono voltato, ed ecco che una guardia, un bel giovane assai simpatico, con un conciso paio di baffetti neri sul labbro superiore, una faccia di mela rosa e due occhi neri pieni di fuoco, si è affacciato e mi ha detto: "Lei è in contravvenzione."
"Ah dunque", ho pensato, "c'è dopotutto la legge che proibisce di investire, seppure per sbaglio, i cani". Ma la guardia ha proseguito: "E' passato con il segnale rosso. Non lo sa che è proibito?" E così, lì per lì, con matita, carta e carta carbone ha scritto la contravvenzione, ha strappato il foglietto e con molto garbo me l'ha presentato, e io ho pagato le mille lire e me ne sono andato assai contento.
Tuttavia un dubbio mi era rimasto: era proprio sicuro che non ci fosse nessuna legge che proibiva di metter sotto il cane? Evidentemente non c'era, altrimenti quella guardia, così simpaticamente scrupolosa nell'adempimento del suo dovere, me l'avrebbe fatto notare. Eppure..
Di questi dubbi dovuti ad amnesie me ne vengono purtroppo assai spesso; e non sempre c'è mia moglie, o una guardia, o qualche funzionario del mio istituto a trarmi dall'imbarazzo.
Tanto per fare un altro esempio: passo per una strada solitaria, di notte, dalle parti del centro, una donna mezzo nascosta in un angolo buio getta con decisione la sigaretta che sta fumando, mi si avvicina, mi invita a seguirla. Io mi domando rapidamente se c'è una legge che proibisca di seguire una donna in simili circostanze e non la trovo; non trovo, però, neppure una legge che l'imponga. In questo dubbio, eccomi afferrato per un braccio, trascinato su per una scala, gettato su un letto. Per fortuna non passa un minuto che, ecco, un picchio tremendo all'uscio: "Aprite, in nome della legge". A questa ingiunzione così rassicurante, la donna va ad aprire e due simpaticissimi agenti irrompono nella stanza e ci ordinano di andare con loro al commissariato, apparentemente per una faccenda di gioielli o altri preziosi rubati appunto da quella donna. Insomma, me la sono cavata male, molto male. Ho detto più tardi a mia moglie che, furente, mi rimproverava: "Ma, insomma, c'è una legge che proibisce di seguire una donna nella sua stanza? No? E allora lasciami in pace."
Ma mia moglie, con estrema gravità: "C'è di sicuro, questa legge, Ettore, soltanto tu non la conosci."
"E qual è?"
"La legge morale."
Be', dico la verità, non ci avevo pensato, e ho provato un grande sollievo. Sì, c'è sempre una legge, e se non riusciamo a trovarla vuol dire che l'abbiamo dimenticata.
Però sono troppe le leggi, e spesso mi viene fatto di pensare che siano contraddittorie, cioè che una legge vieti qualche cosa e un'altra legge invece l'imponga, rendendo così oltremodo difficile per non dire impossibile tenere una condotta secondo legge.
Drizzo le orecchie nei salotti, nel mio istituto, nei caffè, nelle strade, e sento continuamente parlare di una quantità di leggi che non conosco: "La legge di gravità, la legge della strada, la legge della jungla, la legge del mercato, la legge del taglione, la legge dell'onore, la legge della concorrenza, la legge dell'eredità, la legge dell'amore, la legge del più forte e così via". E' chiaro che nessuno può pretendere di conoscere tutte queste leggi, ci vorrebbe una memoria fenomenale. Da ultimo mia moglie me ne ha rivelata una di cui non avevo ancora sentito parlare. Vedendo che non versavo una sola lagrima per la morte di mio figlio rimasto ucciso in un incidente automobilistico, mi ha gridato; "Ma piangi, oppure, se non te la senti di piangere, almeno fingi."
"Ma perché, c'è una legge che impone di piangere in una simile circostanza?"
"Sì, c'è una legge, e tu faresti bene a ricordartene ogni tanto: la legge del cuore."
Basta, non c'è dubbio che stando molto attenti si finisce sempre per trovare la legge che fa al caso, la quale ci protegge un po' come la rete protegge il trapezista allorché si slancia nel vuoto da un trapezio all'altro. Una legge, dico, che ci impedisce di precipitare nel nulla che si spalanca sotto i nostri piedi. Ma, come ho già detto, qualche volta la memoria viene a mancare; e allora si precipita giù, giù, in un vuoto assoluto.
Ne ho la prova in questo stesso momento, mentre sto scrivendo queste note. Sono qui, in un albergo di fronte al mare; nella mia camera c'è un gran disordine; è la mattina; e sul letto sta seduta una deliziosa ragazza di vent'anni che, a quanto pare, si chiama Orietta.
Orietta mi rimprovera perché la sera prima, giocando al casinò, ho perduto una grossa somma di denaro, e io dico irritato: "Ma c'è dunque una legge che proibisce di perdere il denaro al giuoco?"
Lei risponde, in fondo indifferente, guardandosi nello specchio: "Ci dovrebbe essere una legge che proibisce a un vecchio stupido come te di avvicinarsi ai tavolini da gioco."
"Ci dovrebbe essere, ma non c'è."
Orietta dice: "Basta, sei un mostro. Io esco e vado dal parrucchiere, Ciao, ci vediamo nella /hall/ tra un paio d'ore."
Così rimango solo e meccanicamente torno a sedermi sul balcone, sul quale ho sistemato il tavolino e il necessario per scrivere. Ma non ci riesco: vorrei raccontare tutto quello che è avvenuto dal momento che ho lasciato Roma, per vedere se ho fatto qualcosa che era proibito da qualche legge e le idee mi si confondono. Guardo alla passeggiata sulla quale c'è un via vai allegro di passanti; al mare liscio, sorridente, azzurro, calmissimo, sul quale errano, vagabondi, i piccoli triangoli bianchi delle vele; e mi tormento alla ricerca di una misteriosa infrazione che sento di aver commesso il giorno prima. Non so di preciso cosa possa essere; ho soltanto questo sentimento, come chiamarlo, di colpa, il quale mi avverte che sicuramente ho fatto qualcosa di illegale nelle ultime ventiquattr'ore. Eppure, eccola qui la mia giornata, dov'è l'infrazione? Ho telefonato a mia moglie avvertendola che per ragioni di lavoro dovevo assentarmi da Roma; sono andato all'istituto e ho preso nella cassaforte tutto il denaro che conteneva; ho prelevato Orietta a casa sua; ho guidato per cinquecento chilometri; sono sceso a quest'albergo, sono andato al casinò, ho giocato, ho perduto; ho passato la notte con Orietta; ho preso il caffè con lei, a letto... più penso e meno trovo. A meno che non debba considerare un'infrazione il sorpasso in curva che ho fatto presso Cecina. Forse lo è; la legge proibisce di sorpassare in curva; ma egualmente io sento che non basta, che c'è dell'altro, chissà che cosa. Ah se ci fosse qui mia moglie, o una di quelle simpaticissime guardie che avviene così spesso di incontrare in città. Sono sicuro che con il loro aiuto troverei subito l'infrazione che sento di aver commesso nonché senza dubbio la legge che la proibisce e la punisce.